La continuazione dell'attività sociale successivamente alla perdita dei requisiti minimi di capitale imposti dalla legge, integra una condotta indebita da parte dell'amministratore.
Tale condotta, in caso di azione esperita nei suoi confronti, può originare una responsabilità patrimoniale ed un conseguente danno al ceto creditorio che, in giudizio, viene sovente quantificato attraverso il ricorso al criterio della differenza dei netti patrimoniali.
In base a tale criterio, il danno attribuibile agli amministratori (nonché ai componenti degli organi di controllo) viene calcolato dalla differenza tra due grandezze poste a confronto
- il deficit patrimoniale esistente alla data della perdita dei requisiti minimi di capitale;
- il deficit patrimoniale esistente alla data di dichiarazione dell'insolvenza.
Sull'argomento si è recentemente espresso il Tribunale di Milano (sentenza n. 786/2017) cogliendo l'opportunità per evidenziare e ribadire, tra gli altri, alcuni elementi di interesse sul criterio suesposto:
- il confronto tra i deficit patrimoniali deve essere effettuato sulla base di situazioni patrimoniali redatte con criteri omogenei di valutazione;
- la richiesta di risarcimento è sottoposta agli ordinari principi in materia di deduzione e di prova dei fatti costitutivi della pretesa esercitata e, pertanto, l'onere della prova grava sempre sull'attore.
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